di Alain Chivilò
© Alain Chivilò
Creando un ponte con l’anno 2019, all’interno del quale MUVE organizzò un’interessante mostra dedicata all’artista Arshile Gorky, oggi 2022 visitare una retrospettiva dedicata ad Afro Basaldella determina un ponte pittorico sinergico all’arte e ai due stessi artisti.
Proprio la ricerca di Gorky influenzò la poetica espressiva del pittore italiano, a partire dal viaggio negli Stati Uniti utile per ricevere nuova linfa personale.
Il titolo fornito dai curatori parte da questa importante tappa “AFRO 1950-1970 Dall’Italia all’America e ritorno / From Italy to America and Back” ma non dimentica il legame dello stesso Afro all’Italia (Friuli e Roma), all’interno del quale il cognome lo legò ad altri due fratelli scultori: Mirko (Udine, 28 settembre 1910 – Cambridge, 24 novembre 1969) e Dino (Udine, 1909 – 1977) .
Di conseguenza, parlare di America non è quel stereotipo affibbiato magari da terzi partendo da una semplice ipotesi, bensì si determina a partire da disamine poetiche e magari possibili opportunità personali, rappresentando in un certo senso quel momento di stacco, che ha permesso ad Afro di trovare negli anni successivi una via pittorica personale. Come indicato dal curatore Edith Devaney “.. l’approccio e l’assimilazione di Afro Basaldella all’America e all’espressionismo astratto è stato un riflesso della sua personalità; calmo, misurato e intelligente. Naturalmente, incontrare i pittori americani e vedere il loro lavoro da vicino alla fine ha trovato una qualche espressione nel suo stesso lavoro, ma ogni accenno di influenza era graduale e trattenuto e non sembrava mai inghiottire il suo stesso viaggio creativo istintivo e il senso di sé che portava ad ogni dipinto”.
Dagli esordi presi dal Cubismo Sintetico (terza fase del movimento a partire dal 1912), il contatto con la Scuola di New York e il collega Arshile Gorky fecero maturare nello stesso Afro uno stile diviso tra modulazioni e velature cromatiche, lungo indagini del subconscio di derivazione astratta e surrealista. A questi elementi, l’unione con la cultura natia gli permise di produrre stili e forme che lo contraddistinsero per l’intera carriera.
La mostra, organizzata presso la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia (direzione scientifica di Gabriella Belli, a cura di Elisabetta Barisoni e Edith Devaney, in collaborazione con l’Archivio Afro), vive attraverso 45 lavori divisi tra tele, disegni, materiale e video d’archivio focalizzandosi nella sinergia intellettuale con il paese stelle e strisce.
“Non ho paura della parola sogno, non ho paura della parola lirico, o della parola emozione” indicava Afro, sebbene oggi siano termini usati, spesso fuori contesto, dai media e dalla pubblicità. Contrariamente, questi tre sostantivi racchiudono l’iter artistico del Maestro per un linguaggio nuovo, che ha unito nel suo interno quanto indicato in successione dai cubisti, dagli espressionisti e dagli astrattisti. Una dotta commistione di approcci artistici che, proprio negli USA, permisero di trovare una via e una vena fortemente vibrante.
In Italia erano gli anni (‘52) in cui Ennio Morlotti scrisse a Renato Birolli “Io sono d’accordo che se non facciamo qualcosa moriamo”. Da qui, coadiuvati dal critico Lionello Venturi si formò il Gruppo degli Otto cui aderirono Giuseppe Santomaso, Emilio Vedova, Afro, Mattia Moreni, Giulio Turcato e Antonio Corpora per un approccio “astratto – concreto”.
Furono decenni dall’alta fibrillazione, all’interno dei quali, si pensò, creò e realizzò molto nel campo delle Belle Arti, tanto da definire tutto quello che seguì, arrivando alla contemporaneità.
Come scrisse lo stesso Afro “la pittura si stava avviando a nuove modulazioni e toni, che fanno presagire l’ingresso della voce umana elevata a canto”.
Infatti fu proprio così a partire dalla sua ricerca, come ben esposto lungo il percorso espositivo veneziano.
Una memoria di vita per molteplici introspezioni si dipanano in forme per un possibile mondo interiore, laddove il colore è espressività vitale nel tempo e nello spazio. Creazioni sempre pulsanti e vitali, nelle quali la luce s’irradia all’interno di esse, poiché le stesse cromie assumono un’espressività formale ricca di liriche nuance e velature.
Afro Libio Basaldella dipinse mondi e universi poetici utili a ritrovare o trovare, per coloro i quali sentono, un quid soprannaturale ma allo stesso tempo reale.
Biografia a cura dell’Archivio Afro
Afro Libio Basaldella nacque a Udine nel 1912. Nel ’28, appena sedicenne, espose insieme ai fratelli Dino e Mirko alla prima ed unica Mostra della Scuola Friulana d’Avanguardia. Nel 1930, grazie ad una borsa di studio offerta dalla Fondazione Artistica Marangoni di Udine, Afro ha l’opportunità di recarsi a Roma in compagnia del fratello Dino e di entrare in contatto con l’ambiente artistico della capitale. Dal ’31 iniziò a partecipare alle diverse Mostre Sindacali e nel ’33 espone alla Galleria del Milione di Milano, insieme ai friulani Bosisio, Pittino e Taiuti; successivamente Afro si trasferì a Roma. Nel ’35 partecipa alla Quadriennale e nel ’36 alla Biennale; dove esporrà anche nel ’40 e nel ’42. Dopo l’esperienza della Scuola Romana, la realizzazione di diverse opere di pittura murale ed il temporaneo avvicinamento al Neocubismo, nel 1950 Afro si reca negli Stati Uniti ed inizia la ventennale collaborazione con la Catherine Viviano Gallery.
Il differente clima culturale ed i molteplici movimenti artistici americani di quell’epoca, rimarranno impressi nella memoria dell’artista e verranno rielaborati in seguito in maniera del tutto personale. Nel 1952 aderì al gruppo degli Otto, con i quali prese parte alla XXVI Biennale; in occasione dell’edizione successiva, Lionello Venturi gli dedicò un saggio critico, dove mise in evidenza l’abilità tecnica, la precisione e la passione per il lavoro, l’eleganza naturale e la poesia dell’artista. Nel 1955 fu presente alla prima edizione di Documenta a Kassel, alla Quadriennale ed alla Mostra itinerante negli U.S.A.: The New Decade: 22 European Painters and Sculptors. Ormai Afro ha raggiunto consensi e fama soprattutto a livello internazionale e nel 1956 ottiene il premio come miglior pittore italiano alla Biennale di Venezia. Nel 1958, prese parte, insieme ad Appel, Arp, Calder, Matta, Miro, Moore, Picasso e Tamayo, alla decorazione della nuova sede del palazzo dell’UNESCO a Parigi dipingendo II Giardino della Speranza. Gli anni 1959-’60 videro ancora Afro Basaldella impegnato a livello internazionale: è invitato a II. Documenta a Kassel, e vincitore del premio a Pittsburgh e del premio per I’Italia al Solomon R. Guggenheim di New York. Nel 1961 J. J. Sweeney, curatore del Guggenheim Museum di New York, gli dedicò una splendida monografia. Tra le personali di questi anni: Cambridge, al Massachusetts Institute of Tecnology nel ’60; Parigi, alla Galerie de France e Milano, alla Galleria Blu nel ’61. Poi, tra il ’64 ed il ’65, ancora in Europa: alla Galerie im Erker di St. Gallen, alla Räber di Lucerna, alla Günter Franke di Monaco di Baviera e nel 1969-’70 la vasta antologica curata da B. Krimmel al Kunsthalle di Darmstadt, alla Nationalgalerie di Berlino, ed in seguito al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Dopo la morte del fratello Mirko, avvenuta nel 1969, Afro subì alterne vicende di salute. Gli anni ’70 furono caratterizzati dall’intensificarsi dell’opera grafica e da un diradarsi dell’attività pittorica ed espositiva. Si spense a Zurigo nel 1976.
AFRO 1950-1970 Dall’Italia all’America e ritorno / From Italy to America and Back
Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Venezia
21 aprile – 23 ottobre 2022
di Alain Chivilò
© Alain Chivilò
Creando un ponte con l’anno 2019, all’interno del quale MUVE organizzò un’interessante mostra dedicata all’artista Arshile Gorky, oggi 2022 visitare una retrospettiva dedicata ad Afro Basaldella determina un ponte pittorico sinergico all’arte e ai due stessi artisti.
Proprio la ricerca di Gorky influenzò la poetica espressiva del pittore italiano, a partire dal viaggio negli Stati Uniti utile per ricevere nuova linfa personale.
Il titolo fornito dai curatori parte da questa importante tappa “AFRO 1950-1970 Dall’Italia all’America e ritorno / From Italy to America and Back” ma non dimentica il legame dello stesso Afro all’Italia (Friuli e Roma), all’interno del quale il cognome lo legò ad altri due fratelli scultori: Mirko (Udine, 28 settembre 1910 – Cambridge, 24 novembre 1969) e Dino (Udine, 1909 – 1977) .
Di conseguenza, parlare di America non è quel stereotipo affibbiato magari da terzi partendo da una semplice ipotesi, bensì si determina a partire da disamine poetiche e magari possibili opportunità personali, rappresentando in un certo senso quel momento di stacco, che ha permesso ad Afro di trovare negli anni successivi una via pittorica personale. Come indicato dal curatore Edith Devaney “.. l’approccio e l’assimilazione di Afro Basaldella all’America e all’espressionismo astratto è stato un riflesso della sua personalità; calmo, misurato e intelligente. Naturalmente, incontrare i pittori americani e vedere il loro lavoro da vicino alla fine ha trovato una qualche espressione nel suo stesso lavoro, ma ogni accenno di influenza era graduale e trattenuto e non sembrava mai inghiottire il suo stesso viaggio creativo istintivo e il senso di sé che portava ad ogni dipinto”.
Dagli esordi presi dal Cubismo Sintetico (terza fase del movimento a partire dal 1912), il contatto con la Scuola di New York e il collega Arshile Gorky fecero maturare nello stesso Afro uno stile diviso tra modulazioni e velature cromatiche, lungo indagini del subconscio di derivazione astratta e surrealista. A questi elementi, l’unione con la cultura natia gli permise di produrre stili e forme che lo contraddistinsero per l’intera carriera.
La mostra, organizzata presso la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia (direzione scientifica di Gabriella Belli, a cura di Elisabetta Barisoni e Edith Devaney, in collaborazione con l’Archivio Afro), vive attraverso 45 lavori divisi tra tele, disegni, materiale e video d’archivio focalizzandosi nella sinergia intellettuale con il paese stelle e strisce.
“Non ho paura della parola sogno, non ho paura della parola lirico, o della parola emozione” indicava Afro, sebbene oggi siano termini usati, spesso fuori contesto, dai media e dalla pubblicità. Contrariamente, questi tre sostantivi racchiudono l’iter artistico del Maestro per un linguaggio nuovo, che ha unito nel suo interno quanto indicato in successione dai cubisti, dagli espressionisti e dagli astrattisti. Una dotta commistione di approcci artistici che, proprio negli USA, permisero di trovare una via e una vena fortemente vibrante.
In Italia erano gli anni (‘52) in cui Ennio Morlotti scrisse a Renato Birolli “Io sono d’accordo che se non facciamo qualcosa moriamo”. Da qui, coadiuvati dal critico Lionello Venturi si formò il Gruppo degli Otto cui aderirono Giuseppe Santomaso, Emilio Vedova, Afro, Mattia Moreni, Giulio Turcato e Antonio Corpora per un approccio “astratto – concreto”.
Furono decenni dall’alta fibrillazione, all’interno dei quali, si pensò, creò e realizzò molto nel campo delle Belle Arti, tanto da definire tutto quello che seguì, arrivando alla contemporaneità.
Come scrisse lo stesso Afro “la pittura si stava avviando a nuove modulazioni e toni, che fanno presagire l’ingresso della voce umana elevata a canto”.
Infatti fu proprio così a partire dalla sua ricerca, come ben esposto lungo il percorso espositivo veneziano.
Una memoria di vita per molteplici introspezioni si dipanano in forme per un possibile mondo interiore, laddove il colore è espressività vitale nel tempo e nello spazio. Creazioni sempre pulsanti e vitali, nelle quali la luce s’irradia all’interno di esse, poiché le stesse cromie assumono un’espressività formale ricca di liriche nuance e velature.
Afro Libio Basaldella dipinse mondi e universi poetici utili a ritrovare o trovare, per coloro i quali sentono, un quid soprannaturale ma allo stesso tempo reale.
Biografia a cura dell’Archivio Afro
Afro Libio Basaldella nacque a Udine nel 1912. Nel ’28, appena sedicenne, espose insieme ai fratelli Dino e Mirko alla prima ed unica Mostra della Scuola Friulana d’Avanguardia. Nel 1930, grazie ad una borsa di studio offerta dalla Fondazione Artistica Marangoni di Udine, Afro ha l’opportunità di recarsi a Roma in compagnia del fratello Dino e di entrare in contatto con l’ambiente artistico della capitale. Dal ’31 iniziò a partecipare alle diverse Mostre Sindacali e nel ’33 espone alla Galleria del Milione di Milano, insieme ai friulani Bosisio, Pittino e Taiuti; successivamente Afro si trasferì a Roma. Nel ’35 partecipa alla Quadriennale e nel ’36 alla Biennale; dove esporrà anche nel ’40 e nel ’42. Dopo l’esperienza della Scuola Romana, la realizzazione di diverse opere di pittura murale ed il temporaneo avvicinamento al Neocubismo, nel 1950 Afro si reca negli Stati Uniti ed inizia la ventennale collaborazione con la Catherine Viviano Gallery.
Il differente clima culturale ed i molteplici movimenti artistici americani di quell’epoca, rimarranno impressi nella memoria dell’artista e verranno rielaborati in seguito in maniera del tutto personale. Nel 1952 aderì al gruppo degli Otto, con i quali prese parte alla XXVI Biennale; in occasione dell’edizione successiva, Lionello Venturi gli dedicò un saggio critico, dove mise in evidenza l’abilità tecnica, la precisione e la passione per il lavoro, l’eleganza naturale e la poesia dell’artista. Nel 1955 fu presente alla prima edizione di Documenta a Kassel, alla Quadriennale ed alla Mostra itinerante negli U.S.A.: The New Decade: 22 European Painters and Sculptors. Ormai Afro ha raggiunto consensi e fama soprattutto a livello internazionale e nel 1956 ottiene il premio come miglior pittore italiano alla Biennale di Venezia. Nel 1958, prese parte, insieme ad Appel, Arp, Calder, Matta, Miro, Moore, Picasso e Tamayo, alla decorazione della nuova sede del palazzo dell’UNESCO a Parigi dipingendo II Giardino della Speranza. Gli anni 1959-’60 videro ancora Afro Basaldella impegnato a livello internazionale: è invitato a II. Documenta a Kassel, e vincitore del premio a Pittsburgh e del premio per I’Italia al Solomon R. Guggenheim di New York. Nel 1961 J. J. Sweeney, curatore del Guggenheim Museum di New York, gli dedicò una splendida monografia. Tra le personali di questi anni: Cambridge, al Massachusetts Institute of Tecnology nel ’60; Parigi, alla Galerie de France e Milano, alla Galleria Blu nel ’61. Poi, tra il ’64 ed il ’65, ancora in Europa: alla Galerie im Erker di St. Gallen, alla Räber di Lucerna, alla Günter Franke di Monaco di Baviera e nel 1969-’70 la vasta antologica curata da B. Krimmel al Kunsthalle di Darmstadt, alla Nationalgalerie di Berlino, ed in seguito al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Dopo la morte del fratello Mirko, avvenuta nel 1969, Afro subì alterne vicende di salute. Gli anni ’70 furono caratterizzati dall’intensificarsi dell’opera grafica e da un diradarsi dell’attività pittorica ed espositiva. Si spense a Zurigo nel 1976.
AFRO 1950-1970 Dall’Italia all’America e ritorno / From Italy to America and Back
Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Venezia
21 aprile – 23 ottobre 2022
di Alain Chivilò
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